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Fertilia e Maristella: l’Istria trapiantata in terra sarda

Fertilia e Maristella: l’Istria trapiantata in terra sarda

“Riparlare FRATERNAMENTE” degli Istriani di Fertilia e Maristella d’Alghero credo sia un positivo sentimento che a noi non è mai mancato. Nacqui 15 anni dopo l’arrivo di Don Francesco, l’eroica guida non solo spirituale (era il parrocco del paese) ma umana della comunità profuga che nella terra sarda nel 1947 approdava. Il giornalista Coslovich, nell’articolo di luglio, riporta come un cronista deve fare le parole di una degli Istriani, una tra le persone più note. Parole vere, parole sincere che fuoriescono da ferite appena assopite dai trascorsi 60 anni. Non bisogna aver paura della verità, come non bisogna aver timore di ciò che le labbra della nostra gente pronunciano. Il rispetto deve essere massimo verso coloro che per davvero vissero quei tragici momenti della storia. Un rispetto senza ma e senza se…pena un “rispetto” che sarebbe fasullo. E’ condivisibile che il prof. Mura voglia placare eventuali spunti polemici, credo però che non bisogna temere se le persone, vittime di una storia ingiusta, sentano il desiderio di esprimersi. Fertilia è il paese che mi ha dato la luce, nel quale ho colto i suoni del dialetto istriano, dove ho mosso i primi passi e le prime amicizie, dove ho conosciuto il meraviglioso mare ed i profumi sardi. Permetteteci di “riparlare fraternamente” con coloro che in effetti ci videro come estranei, come intrusi di una realtà, il tempo poi ha fatto ammorbidire simili istintività, in tanti si sposarono con la fiera gente sarda. Ma permetteteci di riflettere tra noi e con voi. Non sapete ciò che esattamente abbiamo subito, non comprenderete fino in fondo il dolore e le lacerazioni intime che ci hanno travagliato. Sono nostre, sono intime, nostre e solo nostre. Lasciate anche noi la fierezza delle nostre origini. Non toglietici l’orgoglio della nostra appartenenza culturale. Dopo 18 anni di girovagare in Sardegna, da 30 anni vivo in quel “continente” che è sempre Italia, la Patria che i nostri genitori, i nostri nonni scelsero con sofferenza per ben due volte: per nascita ed opzione di vita. Il livore è l’unico abbaglio notato in noi, livore che invece non ci appartiene, tutti conoscono ed apprezzano la nostra pacificità d’animo, la nostra laboriosità, il silenzioso ed umile lavoro che abbiamo svolto nel dissodamento delle terre e che ognuno nel nostro continuiamo a svolgere. Non sento il bisogno di essere compatito ma semmai, mediante un “riparlare fraterno”, vorrei essere capito. Ho un sogno nel cassetto: che la condivisione del passato avvenga attraverso un amorevole innesto del presente per progettare un futuro dove Fertilia possa divenire quell’istituzione comunale di cultura giuliano-dalmata, ospitata in terra sarda, avendo a rappresentanza dei suoi cittadini finalmente un sindaco di origine istriana. Ecco che allora, solo allora, quella targa sulla rotonda che guarda il Golfo di Alghero diventerebbe realtà e meraviglioso esempio di Armonizzazione tra gli uomini. Concludo con una accorata raccomandazione. Non dite che “l’Italia ci ha accolto”! Non siamo estranei a questa che per noi è la nostra unica Patria: eravamo, siamo e saremo per sempre Italiani d’ Istria, Fiume, Dalmazia!

Pietro Luigi Crasti (Visintini)

..ecco cosa ha risposto LORENA CALEBOTTA subito dopo il mio scritto,  figlia di EDDA SBISA’ (l’istriana che h a rilasciato l’intervista a IL PICCOLO di Trieste) sulla mia bacheca di FACEBBOOK:http://www.facebook.com/profile.php?id=100001204393920#!/photo.php?fbid=134552596594886&set=a.134552146594931.38021.100001204393920&po=1&notif_t=photo_comment

“per questo articolo sul piccolo se sta una mezza baruffa il Mura e ilDario voleva che Edda firmasse una lettera scritta da lori per dir che non la gaveva ditto quelle frasi ma naturalmente mammma ga risposto che la se sempre disponibile per dir sempre quel che la pensa non bugie per far bella figura!!e la se ga rifiutà de firmar e lori ga lostesso fatto l’articolo dopo che i ga dà la lettera a tutta fertilia disendo che edda ga offeso tutti! mamma non ga avudo ne casa ne il negozio con la legge dei profughi oggi paghemo un affitto de €1300,00 e ancora non se parla de vender mentre qualchedun che parla ga avudo terren casa scivolo per andar in pension e fino a ieri non iera gnanche profugo o perlomeno el se scondeva!?”

di seguito l’articolo di riferimento (gli articoli che seguono sono tratti dall’archivio online del quotidiano IL PICCOLO di TRIESTE):

«Fertilia, riserva indiana istro-dalmata ancora piena di dolore e livore»

il Piccolo — 18 luglio 2009   pagina 20   sezione: TRIESTE

«Qui nel 1947 la Sardegna accolse fraterna gli esuli dell’Istria di Fiume e della Dalmazia»: suona sarcastica l’iscrizione riportata sulla colonna del leone di S. Marco che campeggia sul lungomare di Fertilia. La ex colonia fascista del 1939 è ancor oggi una «riserva indiana» per i pochi sopravvissuti istro-dalmati che hanno dovuto abbandonare le «terre redente» nel lontano dopoguerra. Il rapporto tra il microcosmo istro-dalmato e la vicina Alghero non sembra essere dei più idilliaci. La minoranza catalana di Alghero, di lunga e consolidata tradizione, gode di un prestigio e di un fascino che l’enclave istriana se lo sogna. Ho incontrato, chiusa nel suo ristorante pasticceria di via Pola, la signora Edda Sbisà. Arrivata a Fertilia nel lontano 1947, sembra essere sbarcata in Sardegna il giorno prima. Ricorda la sua Orsera in Istria come fosse ieri e lungo le pareti della sala da pranzo non trovi che foto e carte geografiche dell’Istria e della Dalmazia. Afferma che nessuno li ha mai veramente accettati in Sardegna, né lo stato li ha mai veramente aiutati. Sua figlia, nata a Fertilia, parla ancora il dialetto istro-veneto e lamenta che suo figlio, scendendo dal pullman, dopo una gita scolastica, è stato apostrofato da un insegnante come «un zingano». Luciano, zaratino, mi dice che non ha mai più messo piede in Dalmazia dopo la fuga, ma fino a pochi anni fa alcuni di loro organizzavano dei brevi tour di tre, quattro giorni, per rivedere i lontani paesi di origine. Un mix di nostalgia, di orgoglio, di vittimismo, pervade le anime di questi miei fratelli lontani. Io che sono istriano, che parlo la loro «lingua», che ho abbandonato l’Istria nel 1955, stento a riconoscermi nel loro livore. Nello stesso tempo li capisco e li compatisco. Penso che sia doloroso vedere ogni sera calare il sole sul mare e pensare che quel tramonto tocca la sponda adriatica alle loro spalle, troppo lontana per essere raggiunta anche solo con il pensiero. Penso che questo dolore risentito, andrebbe elaborato, come si fa per un lutto; penso che non è bastato dare le case e il lavoro ai nostri antichi profughi, ma che bisognerebbe offrir loro un’occasione culturale, uno spazio pubblico per manifestare ciò che sentono. Per troppo tempo sono stati vittime della retorica, citati in ogni discorso ufficiale, spesso preda del patriottismo reboante della destra. Ripercorrendo le vie geometriche della ex colonia fascista, tra via Fiume, Pola, Cherso, Parenzo, Rovigno, Istria…, mi sono sentito a casa, ma come in un sogno un po’ angosciante ho rivisto i campi profughi di un tempo sparsi per tutta l’Italia. Ho rivisto mio padre che a quarant’anni ha ricominciato da zero, lavorando come «un negro», ingegnandosi a fare l’orologiaio, l’elettricista, il carpentiere in ferro ecc. Ho pensato alla fierezza e alla laboriosità della mia gente, così simile a quella sarda. Ho pensato che dei tre sono stato l’unico figlio che ha studiato grazie all’Italia che ci ha accolto. Ma tutto questo ancora non basta perché bisogna incominciare a riparlane, «fraternamente», come sta scritto sulla colonna del leone di San Marco di Fertilia. Marco Coslovich

1 a risposta:

«La città di Fertilia è un esempio dell’integrazione dei giuliano-dalmati»

il Piccolo — 05 agosto 2009   pagina 20   sezione: TRIESTE

L’articolo apparso sul Piccolo il 18.7, pagina 20, a firma di Marco Coslovich, ha creato più di un malumore tra gli abitanti di Fertilia. A leggere alcuni passi del testo come «Il rapporto tra il microcosmo istro-dalmato e la vicina Alghero non sembra dei più idilliaci», «Un mix di nostalgia, di orgoglio, di vittimismo pervade le anime di questi miei fratelli lontani», e ancora «… stento a riconoscermi nel loro livore», sembra che l’autore, reduce da una recente visita alla borgata algherese, sia stato turbato dall’eco di alcune parole, dette da un paio di intervistati, che hanno scomodato nel suo vissuto qualche irrequieto fantasma. È forse il caso di ricordare che l’attaccamento alle proprie radici dona senso all’esistenza di ciascuno e si manifesta con sentimenti forti e nobili come l’amore per la propria famiglia e la propria terra; non vedo quindi cosa si possa rimproverare a una delle persone intervistate, che ricorda la sua Orsera, lasciata forzatamente nel ’47, come se fosse ieri e che ama circondarsi di foto dell’Istria e della Dalmazia; pur se la stragrande maggioranza degli esuli che abitano a Fertilia non condivide quanto la stessa avrebbe dichiarato nei confronti dello Stato e dei cittadini di Alghero. Non è affatto vero, infatti, che i rapporti tra gli esuli giuliano-dalmati e i sardi e i ferraresi della borgata non siano buoni; sono invece sicuro di poter affermare il contrario. Penso che una più attenta osservazione del contesto avrebbe consentito al signor Coslovich di dare dei giudizi meno approssimativi su Fertilia che rappresenta un mirabile esempio d’integrazione e di serena convivenza tra etnie diverse: i colori ferraresi che bonificarono quella porzione della Nurra, gli algheresi, gli istriani e altri profughi che hanno dato impulso alla viticoltura, alla pesca e al turismo e col loro lavoro hanno contribuito a rendere la Riviera del corallo e il territorio circostante uno dei posti più affascinanti e ospitali della Sardegna. prof. Fabio Mura presidente dell’Ente giuliano di Sardegna

2 a risposta:

 

Profughi a Fertilia

il Piccolo — 09 settembre 2009   pagina 20   sezione: TRIESTE

Sono rimasta dolorosamente colpita e amareggiata nel leggere la lettera del signor Coslovich pubblicata sul «Piccolo» del 18 luglio: non capisco tanto rancore e livore nei confronti della «nostra gente» approdata a Fertilia nel 1947. Lui è venuto in Italia nel 1955 quando ormai era incominciata la ripresa e la ricostruzione; fosse venuto o meglio scappato come noi dal terrore delle foibe nel 1947 e prima ancora, abbandonando tutto, casa, lavoro, scuola, avrebbe trovato un’Italia semidistruttua dove regnava miseria e disoccupazione e noi che arrivavamo a frotte eravamo accolti dalla popolazione né più né meno degli extracomunitari d’oggi e come dargli torto quando a loro mancava anche il pane! Fertilia era allora un paese pressoché disabitato e brullo, basta guardarsi il «video» ormai divenuto storico, dell’arrivo di don Francesco Dapiran con un gruppo di giovani ardimentosi mandato in perlustrazione del posto che avrebbe dovuto accogliere i primi profughi istriani: un deserto! Arrivati in seguito, armati di buona volontà e tanta forza d’animo, si rimboccarono le maniche e si inventarono un lavoro perché Fertilia, oltre alla chiesa ancora da ultimare, la scuola, la caserma dei carabinieri e l’asilo delle suore, non offriva altro; niente negozi, nessun posto di lavoro! Hanno sgobbato a stradicare palme nane dalla terra secca per piantare qualcosa! Se Fertilia è oggi la ridente e accogliente cittadina che tutti conosciamo e amiamo è anche merito della «nostra gente» che per il carattere cordiale s’è ben amalgamata con la popolazione algherese, altro che «riserva indiana»! Al bar ristorante di Edda Sbisà entrano tutti non solo per l’ottima cucina ma per la spontaneità e cordialità di Edda! Nerina Milia

 

 

 

 

 

Fertilia e Maristella: l’Istria trapiantata in terra sardaultima modifica: 2010-10-16T17:07:00+02:00da
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